L'estinzione della razza umana
Scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi
Titolo originale / Original title: L’estinzione della razza umana
Titolo internazionale / International title: The Extinction of the Human Race
Durata / Running time: 88 minuti / 88 minutes
Paese / Country: Italia / Italy
Anno / Year: 2025
Lingua originale / Original language: Italiano / Italian
Sottotitoli / Subtitles: Inglese / English
Formato di proiezione / Screening format: DCP
Immagine / Image: Bianco e nero e colore / Black & White and Color
Aspect ratio: 16:9
Audio: 5.1
Sinossi
Durante una pandemia causata da un virus che trasforma gli esseri umani in tacchini, due coppie sono bloccate nell’androne del palazzo in cui vivono. Lo scontro fra Andrea che vorrebbe uscire a correre e Marco che cerca di impedirglielo degenera coinvolgendo le compagne, Giulia e Anna, i corrieri che arrivano continuamente a consegnare pacchi e un medico di ritorno dall'ospedale, in un conflitto sempre più radicale che mette in crisi le reciproche relazioni e le visioni del mondo di ognuno.

Note di regia
Questo film nasce dal desiderio di raccontare il presente senza cadere nella cronaca. La pandemia del 2020 ci ha segnati tutti e, paradossalmente, sembra già scivolata nell’oblio. La scrittura e la progettazione sono iniziate proprio in quei mesi di isolamento, quando il tempo si dilatava e ogni contatto sembrava impossibile. Non volevo documentare ciò che stava accadendo, ma usare quell’esperienza come detonatore per interrogare chi eravamo – e chi siamo ancora.
Per marcare la distanza dal reale ho sostituito il virus con uno immaginario: stesso potere di diffusione, ma un effetto assurdo, la trasformazione degli esseri umani in tacchini. I tacchini non si vedono mai: il grottesco è solo una deviazione, uno scarto che mette a fuoco il vero centro del film – le reazioni, le fragilità, le dinamiche tra persone costrette a convivere dentro un’anomalia.
La regia lavora per disorientare. Nessuna chiave interpretativa netta, nessun punto di vista privilegiato: lo spettatore si trova, come i personaggi, in un territorio ambiguo, dove le certezze si sgretolano. Per questo, le inquadrature dei vari personaggi sono realizzate spesso con ottiche e distanze differenti, anche all’interno della stessa scena, così da impedire qualsiasi abitudine percettiva e da evitare una prospettiva dominante. Piccole variazioni di focale e di prossimità diventano strumenti di spaesamento sottile.
Il bianco e nero è un omaggio al neorealismo, ma anche un paradosso: un “neorealismo irreale” in cui il passato prossimo sembra più remoto della Seconda guerra mondiale. La macchina da presa segue i personaggi nelle traiettorie emotive, cercando sguardi, esitazioni, vuoti. Ogni scena restituisce la sensazione di essere intrappolati
in un cortile senza vie di fuga, dove anche l’aria è materia drammatica.
Il suono nasce dalla stessa radice temporale del film: il sound design è composto esclusivamente da registrazioni ambientali effettuate a Milano e Roma durante il lockdown del 2020. Strade vuote, echi metallici, silenzi compressi: una materia sonora che porta impressa la memoria di quei giorni e che diventa parte integrante del racconto.
Con gli attori poi ho lavorato a lungo chiedendo a ciascuno di sentirsi il protagonista. Ognuno vive la propria storia come chiave di lettura del film. Ne nasce un gioco di specchi in cui nessuno è secondario, tutti hanno ragione e torto allo stesso tempo. Anche il montaggio segue questa logica di instabilità: alterna ritmo e pause, ma soprattutto evita di stabilizzare lo sguardo, mantenendo la stessa irregolarità delle inquadrature.
Sotto la superficie grottesca e leggera, il film indaga due tensioni fondamentali: il rapporto tra l’essere umano e la società, e quello tra l’essere umano e la natura. È scritto e girato come una commedia, ma il suo centro è tragico:
fa ridere con l’obiettivo di colpire più a fondo e spinge a guardarsi, a interrogarsi sul senso delle proprie azioni in un contesto in cui ogni certezza può dissolversi da un momento all’altro.
In questo spazio di precarietà affiora anche una domanda che attraversa i personaggi e il tempo che viviamo: cosa significa generare – o scegliere di non generare – figli in un mondo che potrebbe non arrivare al 2050 senza attraversare sconvolgimenti, disuguaglianze, carestie e nuove epidemie ancora più devastanti? È un atto di fiducia
o di ostinazione? Possiamo ancora credere nell’essere umano, o siamo già oltre il punto di non ritorno? Il film non dà risposte: lascia che questa tensione tra speranza e disillusione, tra futuro immaginato e presente in frantumi, resti sospesa e si rifletta nei gesti e nei silenzi dei personaggi.
La domanda in fondo è semplice e universale: a cosa ci aggrappiamo, quando tutto sembra crollare? La risposta – individuale e collettiva – finisce per rivelare ciò che è davvero importante per ciascuno di noi.
La regia
Emanuele Aldrovandi (Reggio Emilia, 1985), scrittore e regista, lavora tra teatro, letteratura e cinema.
Dopo la laurea in Filosofia e il diploma all’Accademia Paolo Grassi di Milano si è affermato in ambito teatrale scrivendo dal 2010 a oggi una quindicina di testi che hanno ricevuto numerosi riconoscimenti fra cui il Premio Riccione/Tondelli, il Premio Hystrio e il Premio Pirandello, sono stati messi in scena nei principali teatri italiani e tradotti, pubblicati e rappresentati in inglese, tedesco, francese, spagnolo, polacco, sloveno, ceco, croato, rumeno, catalano e arabo.
Nel 2020 ha fondato l’Associazione Teatrale Autori Vivi, con la quale ha diretto alcuni suoi testi, in co-produzione con teatri nazionali come ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Stabile di Torino.
Dal teatro è approdato poi al cinema, realizzando tre cortometraggi: Il progresso (2018), Un tipico nome da bambino povero (2019), vincitore del Premio UNICEF, e Bataclan (2020), che ha ricevuto svariati riconoscimenti fra cui il Premio RAI Cinema al Festival di Roma 2020 e il Nastro d’Argento nel 2021, uno dei più importanti premi cinematografici italiani.
Nel 2024 ha fondato la casa di produzione cinematografia Sisifo Production, con la quale ha realizzato il suo primo lungometraggio L’estinzione della razza umana (2025).
Nel frattempo ha anche scritto un romanzo, Il nostro grande niente (2024), pubblicato da Einaudi e vincitore del Premio John Fante e del Premio Severino Cesari Opera Prima.
Dal 2025 è direttore del Teatro del Fiume di Boretto, in provincia di Reggio Emilia.
Insegna all’Accademia Paolo Grassi di Milano e alla Scuola Holden di Torino.
Cast
Credits
Soggetto, sceneggiatura – Emanuele Aldrovandi
Fotografia – Alessandro Vezzani
Operatore di macchina – Arturo Bernardi
Focus puller – Samuele Valente
Aiuto operatore / Data manager – Pietro Bertazzoni
Scenografia – Francesco Fassone
Allestimento set – Miguel Gatti
Costruttore / Falegname – Loris Costi
Attrezzista di preparazione e scena – Vanessa Zecchi
Costumi – Costanza Maramotti
Costumista set – Rossella Campisi
Trucco – Caterina Pedrazzoli
Grafiche – Anna Resmini
Montaggio – Davide Vizzini, Cristina Ghinassi
Color – Lorenzo Ameri
VFX – The Jack Stupid
Suono in presa diretta – Andrea Morselli
Sound designer – Matteo Bendinelli, acs
AI voice sound designer – Riccardo Tesorini
Supervising sound editor – Filippo Barracco
Sound editor – Federica Pasetto, acs
Foley artist – Marco Ciorba, acs
Musiche originali – Dumbo Gets Mad
Macchinista – Manuel Rossi
2° macchinista – Andrea Ventura
Allestimento reparti / Specializzato mini-jib – Fabio Aquila
Elettricista – Andrea De Angelis
2° elettricista – Jacopo Cinelli
Aiuto regia – Andrea Pagani
Segretaria di edizione – Agnese Navoni
Organizzatore generale – Mario Chemello
Direttore di produzione – Chiara Nicoletti
Segretaria di produzione – Federica Cottini
Aiuto segretario di produzione – Matheo Heredia Gambetta
Aiuto segretario di produzione – Amerigo Liberale
Stagista reparto regia – Esther Di Raimo
Stagista reparto fotografia – Paolo Beltrami



















































